Una storia…
Spesso bisogna camminare a lungo per visitare i malati.
Si cammina sotto il sole tropicale e sotto la pioggia, su sentieri disseminati di rocce, nella sterpaglia.
E poi si arriva, di solito, ad una capanna di terra, coperta di foglie di banano; un’unica stanzetta, magari senza tavolo, sempre senza armadi, dove di solito i vestiti sono appesi a spaghi tesi lungo le pareti oppure tenuti sotto i materassi oppure in grossi sacchi di yuta e le poche cose possedute ammucchiate per terra.
Tutti vivono insieme, dormendo in 2,3,4 sullo stesso pagliericcio, gli altri per terra I malati, di solito, sono nella parte più nascosta della casa, spesso coperti da stracci o lenzuola sudice e maleodoranti.. Se sono anziani quasi sempre sono soli: i famigliari devono provvedere al proprio sostentamento e a quello dei loro figli e sono fuori, nei campi o al mercato o dai vicini.
L’incontro con il malato è sempre un momento di Dio.
Assorbe tutta l’attenzione di cui si è capaci, per cercare il “contatto” fra persone, il dialogo, nonostante le difficoltà della lingua e del dolore, per capire i bisogni del corpo e dello spirito espressi e non espressi, per cercare di valutare le condizioni della persona che soffre e i possibili consigli, ma anche per pregare con l’infermo e la sua famiglia, o, comunque, con coloro che sono presenti.
Assorbe tutta l’attenzione di cui si è capaci, per cercare il “contatto” fra persone, il dialogo, nonostante le difficoltà della lingua e del dolore, per capire i bisogni del corpo e dello spirito espressi e non espressi, per cercare di valutare le condizioni della persona che soffre e i possibili consigli, ma anche per pregare con l’infermo e la sua famiglia, o, comunque, con coloro che sono presenti.
E’ commovente constatare il conforto che il malato trae da questo contatto: riconoscere di essere ancora qualcuno per la sua comunità; la visita, infatti, lo fa sentire in relazione con i suoi fratelli e con Dio in modo speciale. E’ un momento sacro: noi nel malato sappiamo Gesù, coscienti che per il malato noi siamo il volto di Gesù e della sua Chiesa. Difficile immaginare in una visita un momento più importante dell’incontro con l’infermo.
Eppure la storia di AG inizia al termine di una di queste visite.
La malata era un’anziana, inferma da tempo obbligata nel suo lettino. Nella stanza non c’era quasi luce. Il pavimento della capanna era di terra, sconnesso per le rocce affioranti. Per terra sporcizia, stracci e una gallina.
Non c’era molto spazio fra lo sgabello e il lettino e muovendosi un piede urta contro uno straccio, rivelando una presenza, e, con essa, una vita e le dimensioni vere del dramma che è ai nostri occhi la vita quotidiana di troppi esseri umani.
Lo straccio avvolgeva, fino a nasconderlo, un bambino cosciente, ma assolutamente impotente. Irrigidito e storpiato dall’assoluta mancanza di cure e di attenzione necessarie al suo stato.
Solo gli occhi rimanevano capaci di esprimere la sua voglia di vivere.
Questo bambino si chiamava Gasmy.
E’ morto dopo qualche mese, nonostante gli sforzi della comunità per aiutarlo.
La storia di AG inizia con l’incontro sconvolgente con questo bambino, il primo dei tanti incontri con bambini le cui vite, altrettanto dolorose, sono per noi “sorgenti di Amore”.
Gasmy “ha agito” interpellando le nostre coscienze e la risposta di chi ha accettato e accetta di lasciarsi interpellare e di agire, in qualunque modo, ha innescato e continua una catena di bene che ha dato origine e continua tuttora “Aksyon Gasmy”: l’Azione di Gasmy.
Le condizioni in cui viveva Gasmy sono quelle della maggior parte dei bimbi con handicap in questo paese.
Considerati frutto di maledizioni o abitati da spiriti, sono troppo spesso nascosti dalla famiglia, emarginati dalla società, ignorati a livello politico.
Questo progetto nasce per ribaltare questa realtà e costruire una comunità cristiana capace di affermare e difendere il valore della loro vita e la loro dignità di figli di Dio e di persone, aiutandoli a prendere il loro posto nella società.